Ambush marketing e normativa italiana
Il 14 marzo 2020 è entrato in vigore il Decreto Legge 11 marzo 2020, n. 16, convertito con modificazioni dalla Legge 8 maggio 2020, n. 3, recante “Disposizioni urgenti per l’organizzazione e lo svolgimento dei Giochi olimpici e paralimpici invernali Milano Cortina 2026 e delle finali ATP Torino 2021 – 2025, nonché in materia di divieto di pubblicizzazione parassitaria” (“Decreto”)[1].
Il provvedimento cerca di rafforzare “il quadro regolatorio in materia di pubblicizzazione parassitaria e di tutela dei segni notori” legati a manifestazioni e ad altri simili eventi sportivi e/o fieristici di rilevanza nazionale o internazionale.
Con il termine attività parassitarie, il Decreto intende “le attività di pubblicizzazione e commercializzazione parassitarie, fraudolente, ingannevoli o fuorvianti poste in essere in relazione all’organizzazione di eventi sportivi o fieristici di rilevanza nazionale o internazionale non autorizzate dai soggetti organizzatori e aventi la finalità di ricavare un vantaggio economico o concorrenziale”.
Tale condotta prende anche il nome dall’espressione inglese ambush marketing, o anche parasitic marketing, e si tratta di una tecnica di comunicazione nata negli Stati Uniti negli anni ’80 e che consiste nella condotta da parte di un’impresa di associare il proprio marchio come sponsor ufficiale di un evento di grande importanza mediatica, senza avere l’autorizzazione da parte dell’organizzatore dell’evento.
Di norma, infatti, durante una manifestazione per accreditarsi come sponsor ufficiale dell’evento le imprese devono pagare e affidarsi a procedimenti onerosi. Tuttavia, è capitato speso che alcune imprese abbiano trovato stratagemmi alternativi, non convenzionali e da molti considerati scorretti dal punto di vista etico-professionale, per intromettersi e ottenere visibilità senza passare attraverso l’iter burocratico per divenire sponsor ufficiali.
La condotta sopra descritta – e in considerazione del significato stesso del termine “ambush” – è, quindi, una vera e propria “imboscata” con cui soggetti diversi dagli sponsor ufficiali si agganciano in maniera parassitaria all’evento e ne traggono visibilità senza aver ottenuto apposita autorizzazione e pagato un corrispettivo agli organizzatori.
L’obiettivo del Decreto è quindi quello di impedire che vengano lesi gli interessi i) del consumatore, in quanto il pubblico sarebbe persuaso da una pubblicità non consentita; ii) dell’imprenditore autorizzato, che si vedrebbe privato del naturale ritorno economico previsto dal contratto di sponsorizzazione da lui stipulato; iii) degli organizzatori, che subirebbero il deprezzamento del valore del logo e dell’immagine dell’evento.
Sul punto è recentemente intervenuta una pronuncia del Tribunale di Milano, la quale richiama anche gli orientamenti giurisprudenziali precedenti rilevando che “[…] La giurisprudenza ha avuto modo di specificare che “con la figura dell’ambush marketing” il concorrente sleale associa abusivamente l’immagine ed il marchio di un’imprese ad un evento di particolare risonanza mediatica senza essere legato da rapporti di sponsorizzazione, licenza o simili con l’organizzazione della manifestazione. In tal guisa lo stesso si avvantaggia dell’evento senza sopportarne i costi, con conseguente indebito agganciamento all’evento ed interferenza negativa con i rapporti contrattuali tra organizzatori e soggetti autorizzati. Si tratta dunque di illecito plurioffensivo, ove i soggetti danneggiati sono l’organizzazione dell’evento, il licenziatario (o sponsor) ufficiale ed infine il pubblico”[2].
L’articolo 10 co. 2 del Decreto individua quattro figure tipiche di commercializzazione parassitaria – accomunate dalla loro idoneità a trarre in inganno il pubblico sull’identità dello sponsor – che possono essere così riassunte:
- la creazione di un collegamento indiretto fra un marchio o un altro segno distintivo e uno di tali, idoneo a indurre in errore il pubblico sull’identità degli sponsor ufficiali;
- la falsa rappresentazione o dichiarazione nella propria pubblicità di essere sponsor ufficiale di uno di tali eventi;
- la promozione del proprio marchio o di altro segno distintivo tramite qualunque azione, non autorizzata dall’organizzatore, che sia idonea ad attirare l’attenzione del pubblico, posta in essere in occasione di uno di tali eventi e idonea a generare nel pubblico l’erronea impressione che l’autore della condotta sia sponsor dell’evento sportivo o fieristico medesimo;
- la vendita e la pubblicizzazione di prodotti o di servizi abusivamente contraddistinti, anche soltanto in parte, con il logo dell’evento sportivo o fieristico ovvero con altri segni distintivi idonei a indurre in errore circa il logo medesimo e a ingenerare l’erronea percezione di un qualsivoglia collegamento con l’evento ovvero con il suo organizzatore.
Mentre, ai sensi dell’articolo 10 del Decreto “non costituiscono attività di pubblicizzazione parassitaria le condotte poste in essere in esecuzione di contratti di sponsorizzazione conclusi con singoli atleti, squadre, artisti o partecipanti autorizzati a uno degli eventi” sportivi o fieristici di rilevanza nazionale o internazionale e, in ogni caso, il divieto di ambush marketing opera a partire dal novantesimo giorno antecedente alla data ufficiale di inizio dell’evento sportivo o fieristico fino al novantesimo giorno successivo alla sua conclusione.
Tra i casi più noti di ambush marketing è possibile ricordare la campagna pubblicitaria realizzata da Nike nel corso delle Olimpiadi di Atlanta del 1996. In quell’occasione la Nike realizzò una campagna volta a contrastare la presenza del rivale Reebok, quest’ultimo sponsor ufficiale della manifestazione. La campagna in questione, tra le altre iniziative, prevedeva l’affissione di una cartellonistica pubblicitaria di forte impatto sulle mura perimetrali degli impianti sportivi e l’allestimento di temporary shop sempre in prossimità degli impianti, lasciando implicitamente intendere al pubblico che la Nike fosse uno degli sponsor dell’evento. Pur non essendo sponsor ufficiale dell’evento, inoltre, la Nike riuscì ad ottenere grande visibilità come sponsor tecnico di molti atleti di successo: una delle foto più celebri dei giochi olimpici di Atlanta ritrae Ben Johnson che sfoggia, oltre alle due medaglie d’oro vinte nel corso dei giochi, anche le scarpe Nike utilizzate nel corso della competizione sportiva.
Per contrastare tali condotte, il Decreto prevede – a condizione che la condotta non vada ad integrare un reato o un illecito ancora più grave – l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria che va da un minimo di 10.00 euro fino a un massimo di 2,5 milioni euro. L’autorità competente ad accertare tali violazioni e di irrogare le sopra menzionate sanzioni è l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”).
Nel corso della conversione, è stata introdotta una disposizione in base alla quale l’attività dell’AGCM è svolta avvalendosi della Guardia di finanza che agisce, anche d’iniziativa, con i poteri a essa attribuiti per l’accertamento dell’imposta sul valore aggiunto e dell’imposta sui redditi e provvede, altresì, al sequestro o alla descrizione, nel corso dell’evento sportivo o fieristico, di quanto sia prodotto, commercializzato, utilizzato o diffuso nel corso dell’evento sportivo o fieristico in violazione dei divieti di cui all’articolo 10.
Ad oggi, l’AGCM si è espressa solo una volta[3] ma certamente in futuro, in vista dei Giochi olimpici e paralimpici invernali Milano Cortina 2026, si renderà necessario un pronto intervento da parte della stessa.
[1] Il Decreto non è stato il primo provvedimento che ha cercato di disciplinare l’ambush marketing. In passato il legislatore aveva cercato di disciplinare tale fenomeno, in occasione delle Olimpiadi invernali di Torino 2006 con la Legge n. 167/2005 e dell’Esposizione Universale di Milano del 2015, con interventi tuttavia recanti una disciplina speciale e temporalmente circoscritta a uno specifico evento. Due disegni di legge più organici, entrambi in materia di tutela dei segni distintivi delle società sportive, furono presentati dal Parlamento (c.d. “Legge Lolli” del 2008 e c.d. “Legge Idem” del 2015) ma mai approvati.
[2] Tribunale di Milano n. 2547/2020.
[3] AGCM Provvedimento n. 30099/2022 in cui l’AGCM ha applicato una sanzione pari ad euro 100.000 alla società Zalando SE per aver collocato nella piazza di Roma che ospitava il “Football Village 2020”, un cartello pubblicitario in cui erano raffigurate le bandiere dei Paesi partecipanti alla manifestazione e, seguito, dal claim “chi sarà il vincitore?”, richiamando chiaramente la nota competizione calcistica.