Geoblocking e Videogiochi: il caso Valve Corporation
In data 27 settembre 2023, il Tribunale dell’Unione Europea (“Tribunale”) si è pronunciato in merito al fenomeno del c.d. geoblocking attuato mediante chiavi di attivazione per videogiochi per PC da utilizzare sulla piattaforma online “Steam” (“Steam” o “Piattaforma”), di proprietà di Valve Corporation (T-172/2021, causa Valve Corporation). Nello specifico, secondo il Tribunale Valve Corporation, insieme ad altri cinque editori di videogiochi per PC, ha violato l’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”) e l’art. 53 dell’Accordo sullo Spazio Economico Europeo (“Accordo SEE”) per aver limitato le vendite transfrontaliere di videogiochi attraverso accordi anticoncorrenziali e pratiche concordate.
Steam, in particolare, concede in licenza la propria tecnologia agli editori di videogiochi (“Servizi Steamworks”), che successivamente verranno caricati sulla Piattaforma.
I giochi possono essere disponibili per la vendita direttamente su Steam o attraverso distributori terzi e, in tal caso, Steam fornisce una chiave di attivazione come parte dei suoi Servizi Steamworks, caratterizzate da una funzione di controllo del territorio (c.d. geoblocking), che consente agli utenti di i) attivare il gioco solo in un determinato territorio o ii) attivare e giocare al gioco solo in un determinato territorio.
In breve, attraverso i Servizi Steamworks, Steam offre agli editori di videogiochi la possibilità di implementare il geoblocking per controllare la distribuzione e l’accesso geografico ai loro titoli sulla Piattaforma.
La funzionalità di geoblocking ha già attirato l’attenzione della Commissione Europea la quale, all’esito di un’indagine, ha ritenuto che Valve Corporation, avesse violato l’articolo 101 TFUE e l’art. 53 dell’Accordo SEE. Nello specifico, la Commissione Europea ha ritenuto che Valve Corporation avesse posto in essere accordi anticoncorrenziali o pratiche concordate volte a limitare le vendite transfrontaliere di videogiochi Steam sotto forma di vendite passive. Secondo la Commissione Europea, infatti, i diritti di proprietà intellettuale non possono essere esercitati in modo tale da ostacolare la creazione e la protezione del mercato interno, e ciò vale anche per gli accordi di licenza non esclusivi e per gli accordi di distribuzione.
A seguito di tale decisione, Valve Corporation ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale dell’Unione Europea al fine di ottenere l’annullamento della decisione della Commissione Europea del 20 gennaio 2021. In particolare, Valve Corporation sosteneva – tra le altre – che i) la condotta tenuta dalla stessa era volta a “fornire misure tecniche per proteggere il diritto d’autore dell’editore” e ii) la Commissione Europea “non ha tenuto conto del fatto che i diritti di proprietà intellettuale e la direttiva sul diritto d’autore erano elementi essenziali del contesto giuridico che devono essere presi in considerazione nell’applicazione dell’articolo 101 TFUE”.
Con la sentenza in esame, il Tribunale ha asserito che la Commissione Europea ha dimostrato la presenza di accordi o comunque di pratiche concordate tra gli editori e il gestore della Piattaforma volti a limitare le vendite transfrontaliere di determinati videogiochi per PC compatibili con la suddetta Piattaforma mediante l’introduzione di funzionalità di controllo territoriale, in particolare per i Paesi Baltici nonché in alcuni Paesi dell’Europa centrale ed orientale, che ne impedivano l’attivazione e l’utilizzo sulla Piattaforma. Tale geoblocking mirava di fatto ad impedire che i videogiochi, distribuiti in alcuni Paesi a prezzi bassi, fossero acquistati da distributori o da utenti situati in altri Paesi in cui i prezzi sono molto più elevati.
Tuttavia, il Tribunale investito della questione a seguito del ricorso presentato da Valve Corporation, ha confermato le conclusioni già espresse dalla Commissione Europea, affermando che “[…] l’obbligo di dimostrare la manifestazione di un concorso di volontà tra le parti contraenti per perseguire il conseguimento congiunto di un oggetto anticoncorrenziale può essere recepito a qualsiasi rapporto verticale tra partner commerciali e, di conseguenza, che la portata di tale sentenza non si limita unicamente ai rapporti tra distributori e fornitori. In tale contesto, le argomentazioni del ricorrente secondo cui, conformemente a tale giurisprudenza, un concorso di volontà non può sorgere semplicemente perché una parte contraente attua una misura tecnica richiesta dall’altra parte contraente devono essere respinte. Il fatto che la condotta in questione consista nell’attuazione di misure tecniche, come il geoblocking delle chiavi a vapore da parte di un’impresa su richiesta dell’altra parte del contratto, non preclude la conclusione che le parti contraenti intendessero perseguire il raggiungimento congiunto di un oggetto anticoncorrenziale. Non si può escludere che, in alcuni casi, l’attuazione di misure tecniche possa riflettere una politica commerciale da parte della parte contraente, o almeno una genuina intenzione da parte di tale parte di aderire alla politica unilaterale definita dall’altra impresa”.
Pertanto, il Tribunale alla luce di quanto esposto da Valve Corporation ha sostenuto che “[…] le affermazioni del ricorrente [Valve Corporation] sono generali e non comprovate e non stabiliscono che gli effetti pro-competitivi su cui si basa siano stati dimostrati o che siano specifici per la condotta in questione e sufficientemente significativi. Il fatto che il richiedente abbia fatto riferimento a tali effetti pro-competitivi durante la procedura amministrativa non è quindi sufficiente a dimostrare che la Commissione ha commesso un errore di valutazione nel concludere che il comportamento in questione era sufficientemente dannoso, né, a maggior ragione, nel classificare il comportamento in questione come restrizione per oggetto […]”.
Inoltre, al contrario di quanto sostenuto da Valve Corporation, la condotta di quest’ultima non è finalizzata a proteggere i diritti d’autore degli editori e ad essere stata considerata dannosa per la concorrenza non è stata l’esistenza di un accordo di distribuzione esclusiva o di licenza in quanto tale, quanto piuttosto l’istituzione di obblighi contrattuali o di misure aggiuntive che impedivano le vendite passive e “[…] la fornitura di chiavi Steam geo-bloccate aveva effettivamente l’obiettivo di limitare le importazioni parallele dei videogiochi in questione, rendendo praticamente impossibile qualsiasi vendita passiva al di fuori del territorio di taluni paesi del SEE. Più specificamente, il geo-blocking ha cercato di impedire che quei videogiochi, distribuiti attraverso chiavi Steam nel territorio dei paesi del SEE a prezzi bassi, venissero acquistati da distributori o utenti situati nel territorio di altri paesi del SEE in cui i prezzi a cui tali videogiochi sono distribuiti erano molto più alti. Inoltre, sebbene l’intenzione delle parti non sia un fattore necessario per determinare se un accordo tra imprese è restrittivo, non vi è nulla che vieti alle autorità garanti della concorrenza, ai giudici nazionali o ai tribunali dell’Unione europea di tenerne conto di tale fattore”.
Il Tribunale, richiamando la precedente giurisprudenza della Corte di Giustizia, si è altresì espresso sul rapporto tra il diritto della concorrenza e il diritto d’autore ribadendo che “[…] il diritto d’autore è volto unicamente a garantire ai titolari dei diritti interessati la tutela del diritto di sfruttare commercialmente la commercializzazione o la messa a disposizione dell’oggetto protetto, mediante la concessione di licenze dietro pagamento di un compenso; non garantisce ai titolari dei diritti interessati la possibilità di esigere il compenso più elevato possibile o di adottare comportamenti tali da determinare differenze di prezzo artificiali tra i mercati nazionali suddivisi. Tale compartimentazione e le differenze di prezzo artificiali che ne derivano sono inconciliabili con l’obiettivo fondamentale del Trattato, che è il completamento del mercato interno”.
Alla luce di tale principio il Tribunale ha riconosciuto che “il geoblocking delle chiavi Steam non perseguiva un obiettivo di protezione dei diritti d’autore degli editori, ma era chiaramente utilizzato per eliminare completamente le importazioni parallele e proteggere così gli elevati importi delle royalties riscosse dagli editori, o dalla ricorrente, per quanto riguarda il negozio Steam, in alcuni paesi del SEE”.
Alla luce di quanto sopra, il Tribunale ha quindi respinto il ricorso di Valve Corporation condannando la stessa a pagare le spese.