Gli NFT come valore al marchio
Negli ultimi anni, gli “NFT” – c.d. non fungible token – sono stati argomento di grande dibattito; tuttavia, sebbene nel giro di poco tempo hanno acquisito un successo sempre maggiore, potrebbe quasi sembrare che ad oggi siano invece “passati di moda” e sostituiti da altre novità che si susseguono continuamente in ambito tecnologico (tra tutti, l’intelligenza artificiale). Ma è veramente così, oppure ci siamo solo abituati alla loro presenza nella nostra quotidianità e hanno perso quel carattere di novità che li contraddistingueva inizialmente?
In parte superato il periodo di incertezza su come disciplinare gli NFT e il loro corretto utilizzo da un punto di vista legale, un po’ alla volta questi hanno trovato un loro spazio a livello normativo e sono state emesse alcune sentenze con riferimenti agli stessi che hanno chiarito taluni principi.
Ad esempio, l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), prima con una sentenza nella quale respingeva una domanda di marchio depositata per proteggere, tra le altre, gli NFT, e successivamente con la decisione del 24 marzo 2023 (EX-23-2) con la quale ha adottato le “Direttive concernenti l’esame dinanzi all’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale dei marchi dell’Unione europea e dei disegni e modelli comunitari registrati”, si è espresso proprio in merito alla possibilità di registrare i marchi come beni virtuali e NFT, e più in generale marchi utilizzati nel metaverso. Queste precisazioni dell’EUIPO sono state infatti necessarie in ragione delle numerose domande di marchio che sono state depositate dai soggetti interessati a rivendicare questa categoria di prodotti.
Infatti, a fronte delle numerose domande ricevute da chi intende contraddistinguere con il proprio marchio beni virtuali e/o NFT, l’EUIPO – prima attraverso note e indicazioni inserite nel progetto delle nuove linee guida, e poi attraverso le predette linee guida – ha dato maggiori informazioni agli operatori del settore circa l’approccio adottato dall’Ufficio per classificare tali marchi. Più nel dettaglio, i primi consigli pratici su beni virtuali e NFT di EUIPO sono stati forniti da quest’ultimo nell’attesa che entrasse in vigore, il 1° gennaio 2023, la 12esima edizione della Classificazione di Nizza (ovvero una classificazione dei prodotti e servizi in 45 classi tra le quali bisogna scegliere quelle contenenti i prodotti e servizi di interesse quando si intende registrare il proprio marchio), al fine di supplire alla mancanza di indicazioni in merito a tali categorie di prodotti/servizi riferite al metaverso.
Pertanto, secondo l’orientamento adottato dall’EUIPO, i beni virtuali devono essere trattati come contenuti digitali o immagini, e gli NFT come “certificati digitali unici registrati in una blockchain, che autenticano articoli digitali ma sono distinti da tali articoli digitali”, e quindi chi intende contraddistinguere con il proprio marchio beni virtuali e/o NFT deve, in regola generale, rivendicare nell’ambito della domanda di registrazione la classe 9 della Classificazione di Nizza, che contiene la nozione di “materiali scaricabili”. Tale orientamento è stato confermato con l’entrata in vigore della nuova edizione della Classificazione di Nizza, la quale ha introdotto nell’elenco della classe 9 il termine “file digitali scaricabili autenticati da token non fungibili”.
Fermo quanto sopra, tuttavia, l’Ufficio ha altresì ritenuto opportuno precisare che la sola indicazione dei termini “prodotti scaricabili”, “prodotti virtuali” o “non fungibile tokens” nell’elenco di prodotti e servizi della classe 9 manca di chiarezza e precisione, e quindi chiede ai titolari dei marchi di specificare il contenuto al quale i prodotti virtuali si riferiscono o il tipo di prodotto autenticato dal NFT, poiché i termini presenti nell’elenco della Classificazione di Nizza non sono sufficienti di per sé a fornire sufficienti informazioni sul tipo di prodotto o servizio che si intende contraddistinguere con riferimento al metaverso. In tal senso, l’EUIPO, nelle linee guida, fornisce alcuni esempi di termini che sono ritenuti accettabili, come ad esempio, “prodotti virtuali scaricabili, ovvero abbigliamento virtuale”, “prodotti scaricabili, nello specifico file multimediali scaricabili” oppure “arte digitale scaricabile, autenticata da un NFT”.
Ancora, l’Ufficio specifica che “i servizi che si riferiscono a prodotti virtuali o scaricabili, nonché i servizi forniti online o in ambienti virtuali, saranno classificati in linea con i principi consolidati di classificazione che esaminano la natura sottostante del servizio, tenendo conto del suo impatto nel mondo reale”. Ciò significa che non bisognerà limitarsi a rivendicare la classe 9 sopra citata, con tutte le precisazioni del caso, ma bisognerà fare una attenta valutazione delle finalità dei beni virtuali o degli NFT che si intende contraddistinguere al fine di individuare correttamente tutte le opportune classi da rivendicare (ad esempio, nelle ipotesi di vendita di abbigliamento in una realtà virtuale, sarà opportuno rivendicare la classe 35 indicando il termine “vendita al dettaglio di abbigliamento virtuale”).
In aggiunta a quanto sopra, si segnala che poco prima dell’emanazione delle predette linee guida, l’EUIPO, nella decisione dell’8 marzo 2023 relativa alla domanda di marchio figurativo della stampa di Burberry, ha specificato che “considerati i prodotti in questione, che comprendono versioni scaricabili e virtuali di capi di abbigliamento, calzature e articoli decorativi reali, l’Ufficio rileva che il marchio figurativo si presenta sotto forma di un motivo destinato a essere collocato su una parte dei prodotti o a coprirne l’intera superficie e corrisponde quindi all’aspetto esteriore dei prodotti. Pertanto, la valutazione del carattere distintivo del marchio contestato deve basarsi sui principi applicabili ai marchi tridimensionali (…)”. L’EUIPO ha quindi affermato che “una combinazione di elementi che formano un motivo a quadri è ovvia e tipica per i prodotti e non è essenzialmente diversa da altri motivi a quadri che si trovano comunemente in commercio”, osservando inoltre che “la percezione del consumatore per i beni c.d. del mondo reale possono essere applicate anche a beni virtuali equivalenti, poiché un aspetto chiave dei beni virtuali è quello di emulare i concetti fondamentali dei beni del mondo reale”. Per tali motivi, l’EUIPO ha ritenuto che – nel caso di specie – il marchio di Burberry non fosse dotato di alcun carattere distintivo, requisito necessario per la registrazione del marchio. Se ne ricava quindi che non è sufficiente indicare correttamente i termini e le classi da rivendicare con la domanda di marchio, ma quest’ultimo rimane soggetto a tutte le regole applicabili quando si decide di registrare un nuovo marchio.
Fermo quanto sopra in relazione alla registrazione del proprio marchio come NFT, si deve tenere in considerazione che a questi si applicano i principi generali previsti dalla normativa in materia. Ad esempio, il titolare di un marchio può agire per far valere i propri diritti nel caso riscontri una contraffazione dello stesso, ossia nel caso in cui un terzo utilizzi il proprio marchio senza la sua autorizzazione. Questo è quello che è successo nella vicenda americana avente ad oggetto gli NFT raffiguranti delle immagini di borse digitali “Metabirkins”, nella quale è stata rilevata una violazione dei diritti della famosa casa di moda in quanto le predette opere possono confondere i consumatori circa l’origine imprenditoriale delle stesse, inducendoli a credere che il lavoro dell’artista fosse affiliato o approvato dalla casa di moda.
Nel nostro ordinamento, il Tribunale di Roma è stato chiamato ad esprimersi in un caso simile, in relazione alla produzione e la commercializzazione da parte di un soggetto terzo di carte digitali raffiguranti l’immagine di un giocatore della Juventus mentre indossa la maglia della squadra e nelle quali sono altresì presenti dei marchi della squadra. Nello specifico, il giudice ha rilevato che i) “la creazione e commercializzazione delle Cards (…) comport(a) una contraffazione dei marchi in oggetto concretizzando il rischio di confusione, determinato dalla identità dei segni utilizzati tale da poter indurre in errore il pubblico circa la sussistenza di un particolare legame commerciale o di gruppo tra la società resistente e la società Juventus titolare del marchio”, ii) “operando la società Juventus anche nel settore commerciale in parola ed essendo i marchi in questione registrati per categorie ricomprendenti anche detto tipo di attività, la condotta della società resistente integri anche una ipotesi di concorrenza sleale in conseguenza dell’uso non autorizzato di marchi altrui (funzione distintiva del marchio) e dell’appropriazione dei pregi collegati ai marchi utilizzati (funzione attrattiva del marchio)” e iii) “dette condotte arrechino un pericolo di danno sia in relazione alla possibile volgarizzazione del marchio che in relazione alla lesione dei diritti di sfruttamento del marchio medesimo, provocando un danno con obbiettive difficoltà di quantificazione”.
In luce di quanto sopra esposto e degli esempi riportati, ora più che mai è quindi importante valutare con attenzione se può esservi un interesse a contraddistinguere questo tipo di prodotto in sede di deposito di una domanda di marchio, cosi da individuare sin da subito i termini corretti da indicare nella predetta domanda, nonché tutelare al meglio il proprio marchio da potenziali utilizzi non autorizzati dello stesso da parte di terzi.