I marchi composti da lettere e il giudizio di confondibilità
Il Tribunale di Roma di recente si è espresso in merito al giudizio di confondibilità tra segni distintivi composti da una lettera che vede coinvolte una società italiana e una società americana.
Più precisamente, l’attrice, una società americana tra le più importanti attive nel settore alberghiero, ha convenuto in giudizio due società italiane al fine di accertare e dichiarare la nullità dei marchi denominativi e figurativi “La Bottega W” registrati da parte convenuta ai sensi degli artt. 25.1 lett. a) e 12 lett. d) ed e) del Codice di proprietà industriale per difetto di novità, e di conseguenza inibirne l’utilizzo, sostenendo che questi costituiscono una contraffazione dei marchi registrati da parte attrice costituiti dalla lettera “W” – sia da sola che accompagnata da altri termini – che contraddistinguono la relativa catena alberghiera.
Per tale motivo, la società americana “chiede che sia dichiarata la nullità del marchio (“La Bottega W”) in relazione a tutti i prodotti e i servizi per i quali è stata depositata (…) a prescindere da qualsiasi rischio di confusione per il pubblico”[1].
Ed invero, come anche rilevato dal Tribunale, in sede di giudizio è necessario – in relazione alla funzione distintiva dei segni in esame – valutare l’effettiva confondibiltà tra i marchi (e quindi, il grado di uguaglianza o somiglianza tra gli stessi) e l’effettiva identità o somiglianza tra i prodotti che questi contraddistinguono. Nello specifico, il Tribunale precisa che “il rischio di confusione di cui trattasi non si esaurisce nella mera confondibilità fra segni o fra prodotti, ma attiene – coerentemente alla funzione distintiva del marchio – alla origine dei prodotti o dei servizi. Pertanto, l’uso da parte di un terzo di un segno uguale o simile per prodotti uguali o affini diventa contraffattorio solo quando è possibile ritenere che si tratta di un uso idoneo a indurre il pubblico a ritenere che i suoi prodotti provengano in realtà dall’impresa del titolare del segno anteriore”.
Per quando riguarda l’effettiva confondibilità dei marchi in esame, la funzione distintiva degli stessi deve essere valutata tenendo in considerazione se si tratta di marchi c.d. deboli o marchi c.d. forti. In tal senso, il Tribunale, in sede di decisione, ha specificato che “si definiscono “deboli” quei marchi che, pur essendo validi, sono espressivi, ovvero descrittivi del prodotto o del servizio contraddistinto, delle sue qualità o delle sue funzioni; si definiscono invece normalmente “forti” quei marchi privi di qualsiasi nesso significativo con i prodotti o i servizi contraddistinti, in cui è maggiore la capacità distintiva o che abbiano comunque acquistato tale forza distintiva attraverso l’uso prolungato e continuato, l’ampia diffusione tra il pubblico e l’intensa pubblicizzazione”. Ancora, in relazione al marchio c.d. forte il Tribunale ricorda che “è tutelato nel suo nucleo ideologico e pertanto sono illegittime tutte quelle variazioni, anche rilevanti e originali, che lasciano comunque sussistere l’identità sostanziale del segno. Conseguentemente, in tal caso, per evitare la confondibilità tra i segni non è sufficiente una minima modifica della parte denominativa o figurativa del marchio in contraffazione”.
Fermo quanto sopra, in relazione al caso di specie, si ritiene opportuno precisare che ad oggi, la giurisprudenza è concorde nel ritenere registrabile come marchio una lettera o un gruppo di lettere anche a prescindere da una particolare caratterizzazione grafica della/e stessa/e. In particolare, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha rilevato che la capacità distintiva di un marchio deve essere stabilita avendo riguardo sia ai prodotti e servizi per cui è richiesta la registrazione che alla percezione che il pubblico ha del predetto marchio, dovendosi riconoscere la validità del marchio ogni qualvolta esso sia percepito dai consumatori come idoneo a contraddistinguere i prodotti del titolare del marchio.
Nell’esame dei marchi oggetto di causa, il Tribunale quindi – oltre che a tenere conto di quanto previsto dalla normativa e da quanto rilevato, in generale, dalla giurisprudenza – ritiene rilevante anche quanto disposto in una precedente decisione del medesimo. In questo caso infatti, veniva “riconosciuto l’elevato carattere distintivo per i servizi alberghieri, in assenza di qualsivoglia collegamento semantico tra gli stessi e il “marchio W””. In tal senso, il Tribunale considera che i marchi di parte attrice possiedono sufficiente carattere distintivo tanto da considerarli marchi c.d. forte per la particolare funzione evocativa degli stessi in ragione della totale arbitrarietà del nesso stabilito tra i marchi e i prodotti e servizi che gli stessi contraddistinguono. In altre parole, il Tribunale ritiene che non vi sia alcun collegamento semantico tra il marchio “W” e i servizi alberghieri, e pertanto possiede un elevato grado di distintività.
Nel confronto tra i marchi di parte attrice e convenuta poi, il Tribunale rileva che “poiché quello assunto in contraffazione è un marchio complesso, in cui coesistono due elementi denominativi, l’uno (quello preponderante) rappresentato della lettera “W” a caratteri maiuscoli e l’altro consistente nelle parole, a caratteri ridotti “la Bottega”, il confronto tra i due segni va effettuato sulla base del principio, affermato dalla giurisprudenza comunitaria, secondo cui “nel verificare l’esistenza di un rischio di confusione, la valutazione della somiglianza tra due marchi, non può limitarsi a prendere in considerazione solo una componente di un marchio complesso e paragonarla con l’altro marchio” – in questo caso la lettera W – ma “occorre invece operare il confronto esaminando i marchi questione ciascuno nel suo complesso, il che non esclude che l’impressione complessiva possa essere dominata da una o più delle sue componenti, quando tutte le altre componenti sono trascurabili””.
A fronte dell’esame visivo, fonetico e grafico dei marchi in esame, il Tribunale conclude che è chiara la prevalenza degli elementi di somiglianza rispetto a quelli di divergenza, e che la preponderanza della lettera W rispetto ai termini “la Bottega” nei marchi di parte convenuta non è sufficiente a soddisfare il requisito di distintività richiesto, ma al contrario potrebbe accrescere il rischio di confusione nella mente dei consumatori, i quali potrebbero ritenere che i marchi “La Bottega W” costituiscono una mera variante dei marchi di parte attrice – la quale, come sopra anticipato, è titolare non solo di marchi costituiti dalla lettera “W” presa singolarmente ma anche affiancata da altri termini.
Infine, il Tribunale, a seguito dell’analisi dei prodotti e servizi contraddistinti dai marchi in esame, rileva che vi è identità tra gli stessi.
Per tali motivi, il Tribunale conclude che “i segni sono molto simili sotto il profilo visivo, fonetico e concettuale e coincidono nella lettera ‘W’, che rappresenta l’unico elemento del marchio anteriore e l’elemento più distintivo del marchio contestato, di contro alla dicitura “La Bottega” che è descrittiva e non distintiva” e quindi accerta e dichiara la nullità dei marchi di parte convenuta per difetto di novità.
[1] A supporto delle sue dichiarazioni, la società americana rileva che l’ordinamento italiano in materia di proprietà industriale prevede che non possiede il requisito di novità il marchio che è “identic(o) o simil(e) ad un marchio già da altri registrato nello Stato o con efficacia nello Stato, in seguito a domanda depositata in data anteriore o avente effetto da data anteriore in forza di un diritto di priorità o di una valida rivendicazione di preesistenza per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o i servizi possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni” e che è “identic(o) o simil(e) ad un marchio già da altri registrato nello Stato o con efficacia nello Stato, in seguito a domanda depositata in data anteriore o avente effetto da data anteriore in forza di un diritto di priorità o di una valida rivendicazione di preesistenza per prodotti o servizi identici, affini o non affini, quando il marchio anteriore goda nell’unione Europea, o nello Stato, di rinomanza e quando l’uso di quello successivo senza giusto motivo trarrebbe indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore o recherebbe pregiudizio agli stessi” (articolo 12, lett. d) e e) del Codice di Proprietà Industriale).