Il principio del ne bis ne idem e i reati in materia di diritto d’autore: la decisione della Corte Costituzionale
Uno dei principi cardine del nostro ordinamento, quello del “ne bis, ne idem” – che garantisce che il giudice non si possa esprimere due volte sugli stessi fatti una volta che si sia formato il giudicato ossia, un provvedimento non più modificabile per impossibilità di ricorrere a mezzi di impugnazione – trova riconoscimento non solo nella normativa e nella giurisprudenza nazionale ma anche in quella internazionale. Infatti, l’articolo 4 paragrafo 1, prot. N. 7 della CEDU prevede che «[n]essuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato».
Ed è proprio su questo principio che quest’anno la Corte Costituzionale è tornata ad esprimersi con sentenza del 10 maggio 2022 n. 149 (consultabile a questo link: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?param_ecli=ECLI:IT:COST:2022:149 ) con particolare riferimento alla costituzionalità dell’art. 649 del codice di procedura penale[1] in un caso inerente una violazione in materia di diritto d’autore.
- I fatti
La vicenda ha avuto inizio quando il Tribunale di Verona si è trovato a decidere in merito alla responsabilità di un soggetto accusato di avere detenuto per la vendita, nonché riprodotto abusivamente, quarantanove opere letterarie fotocopiate presso la copisteria di cui era titolare oltre il limite consentito dalla legge (reato previsto dall’articolo 171 ter, comma 1, lettera b) della legge n. 633 del 1941 ossia la legge sul diritto d’autore) e che era già stato destinatario della sanzione amministrativa per la medesima condotta, come previsto dall’articolo 174 bis della legge sul diritto d’autore, per un importo pari a 5.974 euro.
Il Tribunale di Verona, nell’ambito di tale procedimento, ha quindi ha sollevato una questione di legittimità costituzionale relativamente all’articolo 649 c.p.p., ritenendolo censurabile «nella parte in cui non prevede l’applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell’imputato, al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo non legato a quello penale da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto, una sanzione avente carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dei relativi protocolli» in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).
- La decisione della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale, ritenendo la questione fondata, si è espressa come segue.
In primo luogo, la Corte ha rilevato che il principio ne bis ne idem non si oppone alla possibilità che il medesimo soggetto sia sottoposto a una o più sanzioni per il medesimo fatto e che la ratio primaria di tale principio risiede nella necessità di evitare – in funzione di garanzia dei diritti fondamentali della persona – l’ulteriore sofferenza, nonché i costi economici, che potrebbero derivare da un nuovo processo basato su fatti per cui l’imputato è già stato giudicato.
Dopo aver ribadito i presupposti richiesti all’interno del nostro ordinamento per l’operatività del menzionato principio, la Corte ha quindi ricordato che sia la Corte europea dei diritti dell’uomo[2], che la Corte di giustizia dell’Unione Europea[3] hanno ritenuto che sottoporre l’imputato ad un processo penale per i medesimi fatti per cui sia stato già sottoposto ad una sanzione definitiva amministrativa di carattere punitivo (secondo i “Criteri Engel”) costituisce una violazione del principio ne bis ne idem, salvo il caso in cui i due procedimenti siano caratterizzati da un legame temporale e materiale sufficientemente stretto (ossia quando le due sanzioni perseguano scopi diversi e complementari, che siano legati ad aspetti diversi della medesima condotta).
L’analisi della Corte è proseguita focalizzandosi sulla legge in materia di diritto d’autore, la quale prevede un “doppio binario” sanzionatorio in cui la medesima condotta illecita può costituire sia un delitto che un illecito amministrativo.
Nelle suddette condotte rientrano quelle previste dall’articolo 171 ter della predetta legge (il quale prevede la reclusione dai sei mesi a un anno per le ipotesi disciplinate nel primo comma, e da uno a quattro anni per le ipotesi disciplinate nel secondo comma, nonché una multa da euro 2.582 a euro 15.493) e dal parallelo articolo 174-bis della legge 633/1941, il quale prevede che “[f]erme le sanzioni penali applicabili, la violazione delle disposizioni previste nella presente sezione [ivi incluse le fattispecie di cui all’articolo 171 ter] è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria pari al doppio del prezzo di mercato dell’opera o del supporto oggetto della violazione, in misura comunque non inferiore a euro 103,00. Se il prezzo non è facilmente determinabile, la violazione è punita con la sanzione amministrativa da euro 103,00 a euro 1032,00. La sanzione amministrativa si applica nella misura stabilita per ogni violazione e per ogni esemplare abusivamente duplicato o riprodotto.
Pertanto, a parere della Corte, è la struttura stessa della disciplina a creare le condizioni per cui uno stesso soggetto possa essere sanzionato per la stessa condotta sia in sede penale che in quella amministrativa.
Il nodo centrale della questione consisteva dunque nel comprendere quale fosse la natura delle disposizioni di cui agli articoli 171 e 174 della legge 633/1941 e se, quindi, i) quanto previsto nei menzionati articoli avesse o meno natura punitiva e ii) il principio ne bis ne idem venisse in tal modo violato.
Secondo la Corte, l’articolo 174 bis della legge 633/1941 ha indubbiamente carattere punitivo, in quanto la sanzione svolge una funzione prevalentemente deterrente e pubblicistica. Inoltre, gli articoli in questione non perseguono scopi complementari e non concernono aspetti diversi del medesimo comportamento illecito, costituendosi quindi una violazione del principio ne bis ne idem.
Per tutte le ragioni ora esposte, la Corte Costituzionale ha ritenuto che il sistema del “doppio binario” non fosse “normativamente congegnato in modo da assicurare che i due procedimenti sanzionatori previsti apprestino una risposta coerente e sostanzialmente unitaria agli illeciti in materia di violazioni del diritto d’autore, già penalmente sanzionati dall’art. 171-ter della legge n. 633 del 1941. I due procedimenti originano dalla medesima condotta, ma seguono poi percorsi autonomi, che non si intersecano né si coordinano reciprocamente in alcun modo, creando così inevitabilmente le condizioni per il verificarsi di violazioni sistemiche del diritto al ne bis in idem”[4].
Pertanto, la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 649 c.p.p. nella parte in cui non prevede che “il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per uno dei delitti previsti dall’art. 171-ter della legge n. 633 del 1941 che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento, definitivamente conclusosi, per l’illecito amministrativo di cui all’art. 174-bis della medesima legge”[5] rimettendo al legislatore la modifica della disciplina in questione e chiedendo un coordinamento tra le previsioni procedimentali e quelle sanzionatorie, avuto riguardo anche dei principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea e dalla Corte Costituzionale stessa.
Studio legale DGRS – Dott.ssa Giulia Bolis
[1] L’articolo 649 c.p.p. prevede che: L’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69 comma 2 e 345.
Se ciò nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo.
[2] Sentenza del 15 novembre 2016, A e B contro Norvegia.
[3] Grande sezione, del 20 marzo 2018, in causa C-524/15, Menci.
[4] Corte Costituzionale, sentenza n. 149 del 10/05/2022.
[5] Corte Costituzionale, sentenza n. 149 del 10/05/2022.