Nasce Aura, la prima blockchain legata al mondo del luxury: quali possibili vantaggi per i brand e per la tutela dei diritti di proprietà intellettuale?
Lo scorso aprile, il Gruppo Prada, Lvmh e Richemont hanno lanciato un progetto congiunto del tutto innovativo: Aura Blockchain Consortium. Tre grandi player si sono riuniti in una associazione no-profit per dare vita ad un’iniziativa che sfrutta la tecnologia blockchain per riuscire ad accrescere sia il valore dei singoli brand (e quindi conquistare nuovi consumatori), che del mercato del lusso più in genere. Storicamente, si tratta di un approccio non convenzionale – il settore del lusso è da sempre un settore molto competitivo – ma sono gli stessi fondatori del progetto ad affermare che anche in una realtà altamente competitiva c’è più valore nel collaborare, che nel competere e che una cosa non esclude l’altra. Invero, i marchi del Gruppo Prada continueranno a competere con quelli di Lvmh e Richemont; ma sul fronte tecnologico, e in particolare sull’utilizzo della tecnologia blockchain nell’alta gamma, è emerso che unire le forze è il modo migliore di usare le energie creative e rendere possibile la visione del futuro che tutti i brand del lusso e della moda ormai hanno sviluppato.
Aura è una piattaforma esclusiva basata su una blockchain globale e che vuole essere aperta a tutti i marchi del lusso, indipendentemente dal settore o dal Paese in cui operano. Lo scopo di Aura è quello di garantire ai consumatori maggiore trasparenza e tracciabilità rispetto ai prodotti di ciascuno dei marchi che vi aderiscono. Da un punto di vista tecnologico, il sistema è costituito da una “blockchain privata multi-nodale” ed è protetto dalla tecnologia ConsenSys e da Microsoft. Una volta operativa, Aura – come del resto tutti i sistemi blockchain – registrerà le informazioni inserite in modo sicuro e non riproducibile e genererà un certificato unico per ogni proprietario in relazione al proprio prodotto. In altre parole, il mondo del lusso ha deciso di sfruttare l’essenza della tecnologia blockchain – ovvero, la tracciabilità, la trasparenza, la verificabilità e l’immutabilità del dato registrato – nella comunicazione al consumatore i) dell’autenticità dei prodotti; ii) della creazione di un sistema di approvvigionamento delle materie prime responsabile e iii) della sostenibilità, tutti temi sempre più importanti per i consumatori e, quindi, anche per i produttori del lusso.
In altre parole, l’obbiettivo primario di Aura è quello di migliorare la customer experience, per offrire al consumatore finale un valore aggiunto rispetto al prodotto di un marchio già rinomato, mettendo lo stesso al centro. Valore aggiunto riscontrabile nella sempre maggiore garanzia di autenticità dei prodotti attraverso un efficace sistema di tracciamento.
Sulla piattaforma sono oggi attivi: Bulgari, Cartier, Hublot, Louis Vuitton e Prada, ma sono in corso i contatti per l’ingresso di altri marchi. Ogni brand ha aderito in base alle proprie specificità e alle aspettative dei propri clienti e continuerà ad essere pienamente proprietario e responsabile dei propri dati, senza che si verifichi alcuno scambio di informazioni di rilievo sotto il profilo della concorrenza.
Questo è solo l’inizio di un progetto che può – e certamente avrà – ulteriori sviluppi. Per il Consortium, infatti, il goal nel lungo periodo è quello di riuscire a far diventare Aura uno standard duraturo, che sia in grado di garantire l’originalità ed il valore dei prodotti del mercato di riferimento. Per questo, l’auspicio dei fondatori del progetto è quello che sempre più brand ed operatori del settore decidano di aderire e supportare lo sviluppo di questa tecnologia.
Invero, il Consorzio, tramite il suo sito[1], dichiara che il progetto rappresenta una serie di nuove possibilità per il mondo del luxury. Tuttavia, da un punto di vista giuridico e nello specifico, in relazione alla tutela dei diritti di proprietà intellettuale – asset fondamentali per le maisons del lusso – quali potrebbero davvero essere queste possibilità?
Le ipotesi sono diverse, ma tutte hanno una base comune: la modalità operativa della blockchain e le sue principali caratteristiche di tracciabilità, immutabilità e trasparenza. Partendo da questo presupposto, è possibile affermare che la tecnologia blockchain può permettere di avere una prova certa riguardo la provenienza ed autenticità di un determinato dato e pertanto, potrebbe sicuramente risultare quale efficace strumento nella lotta alle violazioni dei diritti di marchio e/o design e più in generale alla contraffazione.
Lo sviluppo di una tecnologia blockchain che può essere programmata al fine di contenere informazioni certe sull’origine, anche temporale, dei diritti di proprietà intellettuale – quali appunto il marchio registrato e/o il design registrato o no di un determinato prodotto – consentirebbe l’autenticazione del momento in cui il prodotto è stato creato e/o messo in commercio, così come la verifica della provenienza da un determinata maison, permettendo una buona tutela in casi di contraffazione del marchio e/o del design.
Sempre con riguardo alla tutela del marchio, un’altra applicazione di questa tecnologia potrebbe essere legata al tema dei contratti di distribuzione sul mercato e vendita dei prodotti del mondo del lusso. Infatti, la capacità di tracciare i prodotti attraverso un sistema blockchain, per sua natura immutabile, potrebbe aiutare i titolari dei marchi a far rispettare i loro accordi relativi alla distribuzione e meglio controllare le c.d. “perdite spot” dei prodotti nel sistema di distribuzione, oltre ad aiutare a identificare le importazioni parallele e l’attività del mercato grigio, favorendo così il monitoraggio della corretta distribuzione dei prodotti.
Inoltre, lo sviluppo e la diffusione tramite blockchain di certificati che mostrino in relazione al singolo prodotto informazioni quali: la sua origine all’interno di una filiera produttiva controllata, l’apposizione del marchio, la presenza su canali di vendita ufficiali ed autorizzati dal titolare del marchio, l’indicazione di un licenziatario autorizzato alla vendita e così via, consentirebbero a tutti coloro che sono parte della catena di approvvigionamento, compresi i consumatori e/o le autorità doganali e giudiziarie, di convalidare un prodotto autentico e distinguerlo da un falso. In questo modo per i brand si semplifica il processo volto ad ottenere una tutela giuridica immediata ed efficace dei propri diritti di privativa, nei confronti di contraffattori e concorrenti sleali.
Si pensi ad esempio il caso in cui il proprietario di un marchio o di un design possa informare le autorità doganali sulle caratteristiche certificate tramite blockchain che dovrebbero avere i suoi prodotti originali. La verifica riguardo la presenza o meno di tali caratteristiche diverrebbe, quindi, un modo semplice e certo per i funzionari di frontiera di verificare se un prodotto è contraffatto. A ciò si aggiunga che, la presenza di queste funzionalità che interagiscono con la blockchain potrebbe offrire altresì un maggiore potenziale riguardo il coinvolgimento e l’educazione dei consumatori sui rischi di contraffazione e la capacità di verificare se i prodotti che hanno acquistato sono autentici.
Infine, la tecnologia blockchain potrebbe anche essere utilizzata in relazione ai c.d. marchi collettivi e ai marchi di certificazione o garanzia, per certificare che i prodotti soddisfano determinati criteri o standard, come quelli appunto richiesti da i specifici disciplinari dei predetti marchi (si veda il caso del marchio “Woolmark”, che certifica che i prodotti su cui viene applicato sono realizzati utilizzando lana merino certificata). Anche questo sarebbe una ulteriore prova certa riguardo l’aura di qualità ed esclusività che spesso anche dalla giurisprudenza viene riconosciuta ai prodotti recanti marchi rinomati del mondo del lusso.
Questi sono solo alcuni degli sviluppi ipotizzabili in ambito IP, ma che possono bene aumentare se ampliamo la nostra visuale e pensiamo all’applicazione della tecnologia di cui in oggetto anche a tematiche legate alla Corporate Social Responsibility, alla sostenibilità della produzione, ai processi di approvvigionamento e a/o allo sviluppo di tutte le filiere legate al mondo del lusso.
Non ci resta, quindi, che attendere con curiosità per vedere quali saranno i futuri sviluppi di questo ambizioso e interessante progetto e iniziare a pensare più concretamente alla blockchain quale strumento da inserire in quelle misure tecniche che devono sempre andare di pari passo con quelle giuridiche nella valorizzazione e protezione degli asset di proprietà intellettuale.
Studio legale DGRS – Dott.ssa Laura Mastrocicco