Pubblicità e virus: tra sfruttamento della credulità e ingannevolezza
Divieto di sfruttamento della paura in pubblicità, ingannevolezza e onere della prova, competenza dell’organo decisionale del sistema autodisciplinare: sono diversi i temi affrontati in un recente caso deciso dal Giurì.
Con la pronuncia 49/2021, infatti, il Giurì dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (“IAP”) è tornato innanzitutto ad indagare il rapporto tra comunicazione e quello sfruttamento della credulità e della paura, vietato dall’articolo 8 del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, con riferimento ad un trattamento denominato “DuraVision AntiVirus Platinum Uv” che, a detta dell’azienda produttrice – la Zeiss – avrebbe proprietà antivirus e antivirali, in grado di eliminare virus e batteri dalla superficie delle lenti degli occhiali.
Esaminate le posizioni della Essilor, società promotrice del procedimento, della Zeiss e della Havas Life Italy, agenzia pubblicitaria della Zeiss pure chiamata in causa, il Giurì non ha rilevato profili di violazione del citato articolo 8 ritenendo che “il clima di allarmismo da pandemia è diffuso, e la pubblicità contestata non vi aggiunge sostanzialmente nulla”. Questo non deve – e non può – essere interpretato come un “liberi tutti” circa la regola prevista dal citato articolo, ma costituisce invece una conferma circa la necessità di esaminare la pubblicità nel suo complesso sia con riferimento al contenuto che al periodo storico in cui questa viene diffusa. Principio espressamente richiamato nella pronuncia in esame.
L’interpretazione del divieto di sfruttamento della superstizione, della credulità e della paura che gli organi di controllo autodisciplinari hanno dato nel tempo, infatti, è volta sostanzialmente a vietare quei messaggi volti a creare una pressione psicologica e delle suggestioni tali da attenuare il controllo razionale dei destinatari del messaggio, abbassando quella soglia di attenzione che tutti i consumatori hanno nei confronti della pubblicità. Circostanza rilevata dal Giurì – ma anche dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – in diversi casi nel corso di questi anni di pandemia quando, ad esempio, il messaggio enfatizzava pregi inconsistenti di un prodotto rispetto al Coronavirus o conteneva un invito all’acquisto facendo leva sulla esigenza di contrastare l’avanzata della pandemia.
Nonostante quanto sopra però, la campagna della Zeiss (costituita da uno spot TV, da alcuni contenuti destinati ai social network, in particolare Youtube e dal sito internet dedicato al trattamento antivirale) è stata comunque ritenuta in contrasto con il Codice IAP, in particolare con l’articolo 2, presentando diversi profili di ingannevolezza. Nell’indagare tali profili, la decisione in esame ricorda due principi particolarmente importanti in tema di comunicazione commerciale e autodisciplina.
Il primo è quello inerente l’onere della prova che grava sull’inserzionista circa le qualità del prodotto/servizio richiamate in comunicazione, le quali devono essere veritiere e fondate su dati certi, in assenza dei quali si ha una presunzione di falsità.
In particolare, il Giurì ha rilevato come la pubblicità contestata segnasse “un netto mutamento dei paradigmi comunicazionali tradizionali nel settore delle lenti ottiche: di cui per la prima volta esalta le qualità antivirali”. Ritenendo tale mutamento frutto di una strategia di comunicazione pensata per il periodo storico in cui ci troviamo, quello della crisi pandemica, il Giurì ha ritenuto che Zeiss fosse gravata “di un fortissimo onere probatorio relativamente alla capacità del proprio prodotto non solo di assolvere una funzione che il consumatore non aveva mai associato alle lenti; ma anche di prevenire rischi che dall’uso di lenti specificatamente derivano, e che perciò giustificano investimenti nello sviluppo di lenti antivirali e la pubblicizzazione dei relativi risultati”. Onere che l’organo dello IAP preposto a decidere non ha ritenuto correttamente assolto, soprattutto con riferimento a tale ultimo profilo.
Con riferimento invece all’eventualità che le lenti possano trasmettere virus, incluso il Sars-Cov-2, il Giurì ha ritenuto che le pubblicità di Zeiss non consentissero di ricostruire l’autorevolezza delle pubblicazioni citate a supporto di questo rischio e non essendoci evidenza scientifica (ovvero un “consenso pressoché unanime della comunità degli studiosi”) circa tale eventualità, “non appare al Giurì corretto rafforzare nei consumatori convinzioni sui meccanismi di trasmissibilità del virus per scopi puramente commerciali”. Inoltre, anche ammessa la possibilità di trasmissione del virus tramite le superfici, la pubblicità oggetto della decisione in esame potrebbe “essere accettata se e soltanto se il rischio specificatamente derivante dal contatto con le superfici potesse essere significativamente ridotto per effetto dello specifico rimedio costituito dal trattamento pubblicizzato”. A tal riguardo, ritenendo il contatto con le lenti sporadico rispetto a tutte le superfici con cui un consumatore entra in contatto, il Giurì ha ritenuto che non vi fosse alcuna motivazione di preoccuparsi specificatamente del rischio legato alle lenti e, quindi, della necessità di uno specifico trattamento essendo sufficiente, per un consumatore razionale, intervenire sulle lenti con le normali tecniche di igienizzazione.
Il secondo interessante principio richiamato nella decisione, invece, riguarda la competenza del Giurì a decidere sull’intera campagna viste le argomentazioni di Zeiss e Havas secondo cui, avendo il brand accettato il Codice IAP nell’ambito del rapporto contrattuale con la propria agenzia, il Giurì sarebbe competente a decidere solo su quella parte della campagna oggetto di tale rapporto contrattuale.
Il Codice di Autodisciplina è infatti vincolante per le aziende che investono in comunicazione, agenzie, consulenti, mezzi di diffusione, concessionarie e per tutti coloro che lo abbiano accettato tramite la propria associazione (ad esempio, nel caso di specie, Havas era obbligata essendo associata di UNA – Aziende della Comunicazione Unite), o mediante la conclusione di un contratto di inserzione pubblicitaria. Gli organismi aderenti si impegnano a inserire nei propri contratti, o in quelli dei propri associati, una speciale clausola di accettazione del Codice e delle decisioni autodisciplinari.
Ebbene, nel procedimento in esame, la giurisdizione del Giurì poteva dirsi esistente in ragione del rapporto contrattuale tra Havas e Zeiss e della diffusione dello spot su reti televisive aderenti al sistema autodisciplinare. Viste le argomentazioni richiamate da brand e agenzia però, il Giurì si è soffermato sulla clausola di accettazione del Codice sopra ricordata ricordando come la stessa abbia portata generale e quindi vincoli il contraente per tutte le componenti della campagna.
Una conclusione imposta non solo dalla lettera delle norme preliminari del Codice, che non contemplano una accettazione del Codice limitata a quanto realizzato nel rapporto di collaborazione tra il brand e il soggetto aderente al sistema autodisciplinare, ma anche da considerazioni di carattere sistematico. “Il sistema autodisciplinare perderebbe sostanzialmente effettività se lasciasse spazio a strategie strumentali a frammentare il messaggio pubblicitario in diverse componenti, per sottrarne alcune al controllo del Giurì”, si legge nella decisione e – effettivamente – una diversa interpretazione impedirebbe al Giurì di valutare unitamente messaggi ispirati ad una unitaria strategia persuasiva del consumatore e quindi di presidiare la correttezza della comunicazione per come percepita dal pubblico. Ad esempio, una società potrebbe veicolare nei messaggi TV aderenti al sistema autodisciplinare dei messaggi contenenti un rinvio alle comunicazioni veicolate sui social media e inserire in queste comunicazioni dei contenuti ingannevoli.
Pertanto, la pronuncia conferma che la clausola di accettazione del Codice IAP – quando inserita nei contratti – produce i suoi “effetti (almeno) per tutto il periodo di durata di una campagna che abbia “agganciato” il pubblico per effetto dell’intervento di organismi aderenti al sistema autodisciplinare; e (almeno) per tutte le componenti del messaggio che beneficino di questo aggancio”.
Studio legale DGRS – Avv. Ilaria Gargiulo